CHI SONO

Mi chiamo Dario e sono nato a Milano il 22 giugno 1977. Non che fossi milanese di origine, anzi mio padre e mia madre sono nati a Caccamo, in provincia di Palermo, ma proprio mio padre, Giovanni, ai tempi, lavorava alla “Carlo Erba” a Milano, e quindi è andata così. Pensate che mio fratello Beppe (Giuseppe, in realtà, ma da sempre chiamato così) era nato due anni prima a Genova.
Chissà, se fosse nato un altro un altro fratello, magari sarebbe venuto al mondo a Parigi, o New York…. Scherzo, in realtà mio padre e mia madre, che si chiama Rosaria all’anagrafe ma l’hanno tutti sempre chiamata Sara, entrambi, dicevo, hanno dimostrato di tenere alla loro sicilianità, nell’accezione più nobile del termine, e quando avevo appena un anno siamo ripiombati nella nostra isola da dove, ad eccezione dei viaggi, non ci siamo più mossi.

 

Le scuole, almeno fino al liceo, sono state dei nomi impressi nella mente, volti sorridenti, studio quanto basta, ma nulla più. L’asilo al “Peter Pan”, le elementari al “Giovanni Pascoli” (Marco Celsa era il mio migliore amico e chissà adesso cosa farà), le medie (e già lì iniziamo a fare un po’ più sul serio) al “Don Bosco (classe di soli ragazzi, un po’ triste, a dire il vero). Poi arrivò il liceo, sempre al “Don Bosco” di Palermo, il liceo classico per l’esattezza. Latino, greco, il mitico professore Don Zammuto, luminare di entrambe le lingue tutt’altro che morte, le compagne (finalmente), gli scherzi, le uscite serali, la filosofia, Carlo Caronna, Andrea Barone. Potrei dire di più, ma immagino che chiunque abbia fatto il liceo sappia come vanno queste cose. Davvero un bel periodo, non c’è che dire! Dopo un bel 54/60 alla maturità (ho sempre ammesso che forse meritavo qualcosina in meno, ma forse sono stato fortunato) con tanto di tesina su Walt Disney che impressionò la commissione (e anche la redazione di “Topolino” a cui la mandai e che mi rispose con una lettera che ancora conservo) eccomi all’università. Era il 1995 e mi iscrissi in Ingegneria, dopo un breve dubbio se andare in Fisica.

Scelsi Ingegneria Aeronautica (ho sempre avuto la testa fra le nuvole) e il biennio lo ricordo come un periodo ancora più bello del liceo nonostante la difficoltà degli esami e il rigore matematico che richiedevano. Un esame su tutti: Fisica 1. 125 ci presentammo allo scritto, 25 accedemmo all’orale, 5 conseguimmo la materia. Questi dati mi incoraggiarono per tutto il mio corso di studi. Due anni dopo, nel 1997, capii che forse gli sbocchi lavorativi della laurea mi avrebbero portato molto lontano dall’Italia, e forse anche dall’Europa e quindi presi la decisione di cambiare in Ingegneria Informatica, nonostante non fossi, e non lo sono tuttora, un patito dell’elettronica. Fatto il cambio, a fine estate 1999 partii per dieci mesi per la Spagna, a Valencia per l’esattezza, col progetto Erasmus. Esperienza stupenda e per certi versi estrema, ma seppi difendermi bene e tornai contento a casa con amici in più e, soprattutto, con una lingua che ancora parlo fluentemente.
Conseguii, quindi, la laurea nel marzo del 2003 con la votazione di 103/110, con una tesi in robotica di cui adesso non ricordo più nulla e nell’estate dello stesso anno fui chiamato a fare il servizio civile (allora, per chi non lo sapesse, era obbligatorio o fare il militare, cosa che aborrivo, o fare il servizio civile). Mi chiamò l’ARCI di Palermo e fui destinato alla biblioteca dell’università. Indovinate che facoltà? Ingegneria, naturalmente. Fra le mura di quella biblioteca feci un’esperienza formativa importantissima e incontrai quello che sarebbe diventato un mio grande amico, Salvo Virzì. Durante i dieci mesi di servizio civile successero tante cose, fra cui la mia abilitazione all’esercizio della professione di ingegnere, ma ciò che non posso dimenticare fu la malattia e successiva morte di mio padre. Era il primo aprile 2004, per ironia della sorte ultimo giorno di servizio civile. Mi trovavo, in permesso, all’ospedale di Sciacca (AG) dove era ricoverato. Eravamo io e lui, anche se da mesi, a causa di un’errata operazione al cervello, era come un bambino di un anno. Non parlava e al massimo riusciva a farsi capire. Eravamo io e lui in quella stanza, dicevo. Ci guardavamo e a un certo punto ebbe una crisi. Ci fu un capannello di medici attorno a lui e uno di questi, dopo un po’, mi guardò comunicandomi senza parlare, ma con gli occhi rassegnati, qualcosa di eloquente. Mio padre non c’era più, e ricordo ogni particolare di quei momenti, persino cosa facevo mentre telefonavo a mia madre per comunicare la notizia, e a mio fratello che era a Milano. Non mi dilungo su ciò che successe dopo.
Non finì il 2004, però, che accadde un’altra svolta importante della mia vita, positiva stavolta. Un pomeriggio d’autunno mi telefonò il padre del mio amico Andrea, che lavorava in ferrovia, chiedendomi enigmaticamente quanti anni avessi. Risposi che ne avevo 27 e lui disse “Perfetto”. C’era un master per ingegneri, che non avessero ancora compiuto 28 anni, che si svolgeva a Roma ed era organizzato dalle ferrovie assieme all’Università La Sapienza. Partecipai alle selezioni e non le superai per poco, ma, poco prima di natale mi richiamarono dicendomi che qualcuno aveva rinunciato e quindi ero ammesso. Quando mi telefonarono e mi dissero di essere di RFI, non immaginavo che quella sigla sconosciuta avrebbe segnato il mio futuro.

Nel gennaio del 1995 partii, quindi, per Roma. Abitavo a due passi da San Pietro in una casa con due simpatiche sorelle romane, e ogni giorno mi recavo al binario 24 della stazione Termini per seguire i corsi. Vissi le notti romane attivamente, camminavo tantissimo e in generale posso dire di aver passato un bellissimo periodo nella capitale. L’assunzione alla fine del master non era automatica, ma fummo presi tutti e 28 e l’assegnazione, incredibilmente, fu la mia città, Palermo. E fu così che il 9 gennaio del 2006 feci il mio ingresso ufficiale nel mondo del lavoro, ingegnere presso gli uffici di Palermo di Rete Ferroviaria Italiana, gruppo Ferrovie dello Stato Italiane, dove ho lavorato fino all'ottobre del 2018, per poi, a novembre dello stesso anno, ottenere trasferimento a Milano.

Il 2007 fu un anno pieno di incontri, ma due mi hanno cambiato la vita. Il primo incontro lo ebbi con Maurizio Rizza, allora ancora editore, che sarebbe diventato, nonostante la notevole differenza di età, un mio grande amico. Da sempre avevo la passione della scrittura e Salvo Virzì, che ho già citato, me lo presentò perché abitava nel suo palazzo. Maurizio, grandissimo lettore e uomo di cultura enciclopedica, ebbe l’umiltà di leggere dei miei racconti e gli piacquero molto, tanto da volerli pubblicare con la sua casa editrice, “La Zisa”. Il libro, quindi il mio primo libro, si intitolava “Valzer di una notte e altri racconti” che ritengo un libro certamente “di inizio” che non so se farò ripubblicare prima o poi. Fu comunque una grande soddisfazione che mi portò, sempre con la guida di Maurizio, a lavorare a un progetto più ambizioso, un romanzo. Nel frattempo, però, ebbi il secondo incontro che dicevo. Di gran lunga l’incontro più importante della mia vita. Una sera di novembre conobbi Maria Luisa, per me semplicemente Marilù, ed ebbi subito chiaro che mi trovavo di fronte al grande amore, anzi Amore, con la maiuscola. Ci fidanzammo quasi subito, e anche con lei, pensammo ad un grande progetto che si sarebbe realizzato l’anno successivo, il Cammino di Santiago. Il 2008, infatti, fu un anno di grandi soddisfazioni: il Cammino di Santiago, appunto (13 giorni ad agosto a piedi, io e Marilù, da León a Santiago de Compostela, esperienza a dir poco indescrivibile e mai provata prima) e la pubblicazione del mio primo romanzo, sempre con “la Zisa” (che nel frattempo aveva cambiato proprietario), I fiori e la polvere”, uscito nelle librerie (quelle vere! Feltrinelli e Mondadori, tanto per citarne alcune) a novembre. Da questi due accadimenti seguirono: la decisione di sposarci con Marilù, dopo neanche un anno che stavamo insieme, e le presentazioni, interviste tv e articoli di giornale per il romanzo. Mi sentivo al settimo cielo e il 15 aprile 2009, nella chiesa del Don Bosco che avevo frequentato da studente di scuola, sposai Marilù. Altra grandissima emozione, altra felicità immensa.

Passarono gli anni e la famiglia, che cominciava a dare i suoi stupendi frutti, ebbe giustamente il sopravvento sulla scrittura. Nacquero prima Lorenzo, nel 2010,  poi Elena, nel 2011 e infine Alessandra nel 2016. Oggi, da padre e marito felice del mio percorso, ho deciso di autopubblicare due lavori che ho scritto in questi anni. Una raccolta di favole “I racconti della nuvola – Storie volanti di Giacomino Semperdì” e un altro romanzo “Il Campo della Stella”, chiaramente influenzato dal Cammino di Santiago fatto nel 2008. Di entrambi sto curando una particolare presentazione che è più che altro un racconto teatrale, con me nelle vesti di one-man-show.

 

P.S. Come partecipazione ad altri libri, mi preme segnalare, nel 2007, per il volume “Caccamo nel Novecento: Uomini e storia” la pubblicazione della biografia scritta da me dello storico caccamese Giuseppe Lo Bianco Comparato, e nel 2009, la pubblicazione, curata sempre da me, del romanzo postumo dello stesso storico “Il Barone di Caccamo”.

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